lunedì 12 luglio 2010

V.1. Chi è ebreo?

Voglio concludere questo libro sugli ebrei con una domanda che a molti potrà sembrare bizzarra: chi sono gli ebrei? In realtà questa domanda se la sono posta altri e ciò prova che tanto bizzarra non dev’essere. Cosa vuol dire, dunque, essere ebreo? E in che misura la religione contribuisce, se contribuisce, a determinare l’ebraicità di una persona? Insomma, il figlio di ebrei può dirsi ebreo, se non accetta la religione ebraica? E un figlio di non-ebrei può diventare ebreo se crede nella religione di Mosè? Dan e Lavinia Cohn-Sherbok rispondono negativamente: “Pur essendo possibile convertirsi all’ebraismo, l’ebraicità non è innanzi tutto una questione di credo: è del tutto possibile essere un ebreo cristiano o un ebreo musulmano” (2001: 7). Ciò sarebbe provato dal fatto che solo il 31% degli ebrei d’Israele si definisce religioso osservante, mentre il 69% si dichiara non religioso o secolarizzato (Vercelli 2008: 45).
Secondo Dan e Lavinia Cohn-Sherbok, “Il criterio decisivo è la discendenza biologica più che la convinzione religiosa. L’ebraicità passa di madre in figlio attraverso le generazioni e, con poche eccezioni, ebrei si nasce e non si diventa” (2001: 7). In pratica, “Una persona è ebrea se di madre ebrea” (Dan e Lavinia Cohn-Sherbok 2001: 7). Per Hitler, incece, è ebreo chi ha almeno un nonno ebreo. In queste accezioni, l’ebraicità si riduce ad un attributo genetico ed etnico, allo stesso modo in cui riconosciamo un africano dal colore della sua pelle o un orientale dalla conformazione del viso. Sarebbe come dire che c’è una razza ebraica, ma questo è contraddetto dall’evidenza, la quale ci dice che l’ebreo non dispone di attributi fisici così caratteristici da poterlo riconoscere ad una semplice ispezione del corpo.
Secondo la giurisprudenza rabbinica, è ebreo colui che «è nato da una madre ebrea o che si è convertito al giudaismo e che non è membro di altra religione» (Vercelli 2008: 43). Questa linea è confermata da Benbassa E. e Attias J.-C., i quali distinguono due principali modi di essere ebrei: “O si nasce ebrei, perché si ha una madre ebrea (così come dice la Legge), oppure si diventa ebrei, convertendosi all’ebraismo” (2003: 23). In questo caso rimarrebbe da spiegare come due ebrei, uno di profonda fede laica e un altro di profonda fede religiosa, possano sentirsi simili e convivere armoniosamente all’interno di uno stesso Stato e, laddove si riconoscesse che fra i due c’è un’irriducibile incompatibilità, bisognerebbe chiedersi perché mai entrambi debbano continuare a chiamarsi «ebrei».
Alla fine, potrebbe essere considerato ebreo chi liberamente si identificasse come tale. A questo punto, l’ebraicità verrebbe liberata da ogni connotazione oggettiva e diventerebbe un attributo della persona, come il sentimento, l’autocoscienza, lo stato d’animo, e via dicendo. Ora, se chiunque potesse sentirsi ebreo in qualsiasi momento della sua vita e in qualsiasi parte del mondo, com’è possibile pensare ad un popolo la cui identità sia fondata su un fattore così soggettivo e variabile?
La confusione è tale da indurre Benbassa E. e Attias J.-C. a concludere che “l’ebreo è un paradosso” (2003: 171). Qualcuno potrebbe anche arrivare a dire che l’ebreo in realtà non esiste. Ma una simile affermazione è smentita dall’osservazione empirica. È evidente, infatti, che gli ebrei esistono e che, pertanto, dev’esserci necessariamente qualcosa che li accomuna e definisce meglio di altre. Ebbene, secondo l’opinione comune più diffusa, che io faccio mia, ciò che meglio caratterizza l’essere ebreo è la fede nel Dio di Abramo e la convinzione (o anche il semplice dubbio) di essere destinatario della promessa di Jahve, secondo quanto si legge nella Bibbia. A mio giudizio, se un figlio di ebrei non crede nella religione degli ebrei, potrebbe, senza difficoltà, mettere in discussione la sua «ebraicità» e lasciarsi integrare dal popolo che lo ospita. Al contrario, se una coppia di ebrei adottasse un bimbo mongolo e questi accettasse la loro cultura, egli si sentirebbe a tutti gli effetti un ebreo, e si sentirebbe ebreo perfino un mongolo che si riconoscesse figlio adottivo di Abramo, pur senza essere figlio adottivo di ebrei. Condivido perciò le parole di Moncada: “Essere ebreo è «soltanto» un fatto religioso e/o culturale” (2009: 21). L’ebraicità non è una questione di sangue, né di lingua, né di luogo, né di leggi, né di tratti somatici; è solo una questione di fede. L’ebraismo è una religione/cultura e ogni altro modo di concepirlo apre conflitti ideologici inestinguibili.

5 commenti:

  1. La definizione di Ebreo è quella della Legge Ebraica cioè l'halachà. E' Ebreo chi nasce da madre ebrea o il "Gher", cioè il convertito all'Ebraismo.
    L'appartenenza all'Ebraismo non è l'appartenenza ad una religione, ma AD UN POPOLO, AD UNA NAZIONE.
    Chi nasce Ebreo resta sempre Ebreo anche se si converte ad un'altra religione, è Ebreo se è religioso o se è ateo o agnostico.
    La fede ebraica fa però talmente parte dell'identità del Popolo d'Israele che se un non ebreo si converte decide di abbracciare la religione israelita. Questo è l'unico punto poco chiaro, perché chi nasce ebreo è già ebreo e nulla può proibirgli di credere in altro. Al contrario chi chiede di entrare nel Popolo d'Israele, dovrà essere accettato e ratificato da un Tribunale rabbinico, il Bet Din e, di conseguenza, dovrà necessariamente aderire alla religione e accettarne i precetti.
    Dopodiché il Gher, cme afferma la Torah, è Ebreo a tutti gli effetti e sarà ebreo per sempre, anche se un giorno cambierà idea.

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  2. Ringrazio Ernesto per la sua preziosa puntualizzazione della questione, che, tuttavia, credo, sollevi non pochi interrogativi. Spero che altri vorranno intervenire su questo interessante tema.
    Il mio metodo di lavoro prevede che, dopo un adeguato periodo di discussione su un capitolo del blog, quel capitolo viene aggiornato alla luce delle osservazioni che sono state fatte, in modo che esso diventi non più l'opera di uno solo, ma l'opera di un collettivo.

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  3. Sì Didi, l'interrogativo esiste: Chi nasce Ebreo lo è e se diventerà Cristiano o Musulmano o Buddista resterà sempre Ebreo.
    Chi diventa Ebreo, non può, al contrario, prescindere dalla Fede Ebraica.Questo perché la definizione dell'Ebraicità è demandata ai Religiosi, cioè all'autorità del rabbinato ortodosso. (Infatti il riconoscimento della conversione è praticamente impossibile oggi giorno, passando attraverso i movimenti riformati o conservativi). da un lato essere Ebreo indica non l'appartenenza alla Religione, ma al Popolo d'Israel, dall'altro diventare Ebreo (se sei nato Gentile) implica abbracciare completamente la fede dei padri, che fa parte integrante dell'identità e della Storia Ebraica. Questo Paradosso riflette la Storia del moderno Stato d'Israele che è nato come laico ma che, essendo molto giovane ed avendo dovuto affrontare enormi problemi, anche giuridici e organizzativi, per la sua esistenza e sopravvivenza, non ha ancora avuto il tempo materiale di chiarire certe situazioni, e ha demandato all'autorità religiosa alcuni compiti, relativi alla sfera sociale e familiare, quali definizione di ebraicità, matrimonio, divorzio ecc. ma tutto questo, prima o poi verrà.

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  4. Noto che parli di "paradosso".
    Ciò indica che anche tu ti rendi conto che l'identità ebraica è problematica.
    Io ritengo che gli stessi ebrei si devono impegnare nel chiarire tutti i punti oscuri del loro essere ebrei. Devono spiegare cioè perché se mia madre è ebrea e io mi sento ateo o musulmano devo continuare ad essere ebreo contro la mia volontà, come se l'ebraicità sia un attributo di razza, al pari della razza negroide o della razza mongola.
    Gli stessi ebrei dovranno anche spiegare perché, una volta stabilito che ebrei si nasce, l'ebraicità diventa poi una questione di fede religiosa. A me sembra contraddittorio.
    E dovranno spiegare ancora perché, una volta convertitomi all'ebraismo, rimango ebreo anche se dovessi cambiare idea e aderire, poniamo, al buddhismo.
    Non basta: gli ebrei dovranno anche spiegare come sia possibile estendere la parità dei diritti ai residenti in Israele che non siano o non si sentano ebrei.
    Fino a quando essi non avranno spiegato tutto ciò, l'essere ebreo continuerà a rimanere un paradosso.

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  5. Per quanto riguarda i residenti in Israele, se questi hanno cittadinanza Israeliana, godono di tutti i diritti, al pari degli altri, che siano cristiani cattolicico, ortodossi, musulmani o altro.
    Il paradosso non è nella definizione di ebraicità, perché è già chiaro che si è Ebrei se si nasce da madre ebrea (matrilinearità) o se lo si diventa con la conversione (Ghiur). Il paradosso sta nell'organismo che è deputato a definirla, che è attualmente il rabbinato ortodosso. In altri termini non è lo stato laico che certifica questo status, ma un organismo religioso. Questo è probabilmente dovuto alla relativamente giovane netà dello Stato Ebraico che, essendosi trovato alle prese, in 60 anni, con seri problemi organizzativi e di sopravvivenza, non ha aqncora avuto il tempo di affrontare tute le questioni giuridiche, come quella di creare un corpus di leggi completo e moderno, oltre che laico, al pari dei paesi di antica tradizione. In tal senso ci sono molte pressioni e sicuramente gli Israeliani gradualmente risolveranno tutto.
    Oggi il diritto Israeliano si serve ancora di leggi dell'impero ottomano e del Regno unito. Gradualmente, esse vengono sostituite, a mano a mano che l'occasione lo richiede, da leggi emanate dalla Knesset. Il fatto che, una volta diventati Ebrei, si resta Ebrei anche se si abbtaccia un'altra fede, è la dimostrazione che "Rbreo" indica l'appartenenza ad una Nazione, non ad una Religione.

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