martedì 13 luglio 2010

III.1.4. Abramo

Il giorno della partenza, tutti i membri del clan, verosimilmente poche centinaia di persone, si riuniscono in un luogo convenuto, portando le loro tende, i loro beni, le loro armi, le loro greggi e il simulacro del loro dio tutelare e, con trepidazione, si mettono in cammino. Non passa molto tempo che Terach, ormai vecchio, muore e lascia il posto di comando ad Abramo. Il viaggio si rivela più impegnativo del previsto e qualcuno si scoraggia alle prime difficoltà e si lascia andare in qualche atteggiamento di contestazione, ma Abramo li rassicura: dicendo che il dio gli ha parlato e gli ha promesso che tutto andrà nel migliore dei modi (Gn 12, 2-3). Si va avanti. Strada facendo vengono acquistati degli schiavi (Gn 12, 5), il che dimostra che il gruppo non solo dispone di adeguate risorse economiche, ma deve anche essere ben organizzato.
Quando, finalmente, arrivano in Canaan, i nostri scoprono, con loro grande disappunto, che quella terra è abitata (Gn 12, 6) e che nessuno è disposto ad accoglierli a braccia aperte. Abramo non può fare di meglio che insediarsi nell’area semidesertica del Negev, dove le risorse naturali scarseggiano e la vita è tutt’altro che facile, finché un giorno, per sfuggire alla fame, decide di recarsi in Egitto, dove trova lavoro e cibo. Ma il suo sogno rimane Canaan, la terra che il dio continua a promettergli (Gn 15,8). Perciò lascia l’Egitto diretto a Canaan, ma ancora una volta è costretto a fermarsi nel Negev, dove dovrà continuare a vivere da straniero (Gn 21, 34), e così sarà per i suoi discendenti, i quali, ancora per molti anni, si troveranno costretti a vivere ai margini della società opulenta, in misere tende piantate in una terra che non attira nessuno e dove cominciano ad arrivare loschi figuri, gente che deve nascondersi, fuorilegge, banditi e criminali di ogni risma. Non è precisamente questo che essi hanno sognato.

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