martedì 13 luglio 2010

III.1.7. Gli ebrei in Egitto

L’autore biblico racconta che, giunto in Canaan, Abramo ha due figli, Isacco e Ismaele. Da Isacco nasce Giacobbe, da Giacobbe dodici figli dai quali prenderanno origine le dodici tribù d’Israele. Questo racconto lascia intendere che gli ebrei si riproducono rapidamente e diventano numerosi finché, ad un certo punto, le risorse del Negev si rivelano insufficienti a sostentarli ed essi cominciano ad avvertire un pressante bisogno di trovare nuovi spazi e nuove risorse. L’occasione propizia arriva con gli Hyksos, una popolazione ancora non bene identificata che, intorno al 1730, attraversa la Palestina e va a conquistare l’Egitto. È possibile che alcuni clan ebraici decidano di mettersi al seguito degli Hyksos e, insieme a loro, penetrino nella terra dei faraoni, dove possono vivere da uomini liberi, ben inseriti nel nuovo contesto sociale.
Nel 1560 gli Egiziani riescono a cacciare gli Hyksos e, dopo qualche anno, fondano la XVIII dinastia, che provvede non solo alla riorganizzazione del regno, ma anche alla sua espansione. A questo punto la condizione degli ebrei peggiora. Agli occhi dei faraoni, infatti, essi vengono accomunati agli invasori Hyksos e per questo vengono costretti a fare lavori umili e servili.
Intanto, intorno al 1460, Canaan viene sottomessa all’Egitto, che se ne serve come avamposto idoneo a controllare la Siria e l’Anatolia e a difendersi dai loro possibili attacchi. I vari signori e i piccoli re locali, risiedono in modeste città-stato fortificate e dotate di tutte le istituzioni dello Stato: “palazzo, tempio, esercito e tutto l’usuale apparato burocratico tipico degli altri regni cittadini siro-palestinesi del tempo” (Merlo 2009: 20). Essi sono tenuti a fare giuramento di fedeltà al faraone e a versargli il tributo annuo stabilito, per il resto sono lasciati liberi di comportarsi come meglio credono. Il faraone si disinteressa di loro e interviene solo in casi gravi e straordinari. Qua e là, disseminati nelle sedi più varie, fuori dai centri urbani, si possono osservare dei luoghi sacri, segnati da un grande albero, un masso, o altro, dove si ritiene sia stato sepolto un illustre antenato, o dove si crede sia apparso un dio o avvenuto un fatto prodigioso: lì si possono offrire sacrifici agli dèi su altari all’aperto. In questo periodo fra gli ebrei d’Egitto e gli habiru del Negev c’è possibilità di libero scambio.
In Egitto, dopo la morte del faraone Amenofi IV (1353-36), il monoteismo viene respinto e quei pochi egiziani che continuano a riconoscersi in esso sono fatti oggetto di azioni repressive. Fra questi vanno probabilmente annoverati Mosè (cf. cap. II.2.3.) e alcuni ceti sociali deboli, come gli ebrei. Il primo è mosso da una profonda fede personale, i secondi, essendo costretti a lavorare per il faraone in condizioni servili, sognano una vita migliore e vedono nella nuova religione uno strumento che si adatta bene alla loro psicologia e alimenta le loro speranze di riscatto.

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