lunedì 12 luglio 2010

I2) La Legge

Se l’importanza del rito decresce dopo la distruzione del tempio e non è condivisa da tutti, l’osservanza della Legge è invece vista come un’esigenza fondamentale pressoché da tutti, soprattutto dopo la caduta della monarchia e l’inizio della diaspora, in quanto rappresenta l’unico elemento in grado di tenere coesa la comunità. “Praticherete i miei comandamenti ed osserverete le mie leggi; secondo quelle vi diporterete: io sono il Signore Dio vostro. Osservate dunque i miei precetti e le mie leggi, perché chiunque li metterà in pratica troverà in essi la vita” (Lv 18,4-5). La necessità di osservare la Legge è ribadita in maniera, direi, quasi ossessionante (Dt 11,28; 13,19; 15,5; 26,16-18; Lv 19,19; 19,37; 20,8; 20,22; 25,18; 1 Re 2,3; 3,14; 6,12; 9,4-5; 11,38). Il massimo che la religione ebraica chiede ad un fedele è studiare la Legge e applicarla (Sal 19,8-12; 119). Si arriva perfino a sostenere che chi osserva la Legge ama Dio, ovverosia che amare Dio significhi osservare la sua legge (Dt 11,1). Da ciò si può comprendere facilmente il ruolo fondamentale che la Legge viene a svolgere nell’economia sociale e religiosa degli ebrei. Ma perché si deve osservare la Legge?
L’osservanza puntuale dei comandamenti e di tutti gli altri precetti illustrati nel Deuteronomio offre importanti vantaggi. In primo luogo, essa rende possibile una valida organizzazione sociale della comunità ebraica, anche in assenza di un sovrano o di altre figure istituzionali forti. In secondo luogo, la Legge rappresenta un modo chiaro e semplice per stabilire se si sta rigando diritti, oppure no. Insomma, alla Legge bisogna ubbidire perché è l’unico modo di fare la volontà di Dio e indurlo sia ad attuare la sua promessa. Il principio è molto semplice: bisogna os¬servare la Legge per evitare la collera di¬vina e far sì che si realizzino, nel medio termine, le condizioni per l’attuazione della Promessa, oltre a tutta una serie di vantaggi pratici immediati. “Se camminerete secondo le mie leggi […]. Io vi darò le piogge a tempo debito, la terra produrrà le sue messi e gli alberi dei campi daranno i loro frutti […]. Mangerete pane a sazietà e abiterete tranquilli le vostre terre. Vi sarà pace nel paese […]. Inseguirete i vostri nemici e periranno di spada davanti a voi […]. Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi, e mai vi prenderò in avversione” (Lv 26,3-11). L’osservanza della Legge renderà Israele saggio agli occhi dei popoli (Dt 4,6), e farà sì che gli israeliti abbiano felicità e lunga vita (Dt 4,40; 6,2; 30,16) e siano un popolo giusto (Dt 6,25). Grazie al rispetto della Legge, il Signore allontanerà dal suo popolo ogni malattia (Dt 7,15) e lo insedierà nella terra promessa (Dt 8,1; 11,9); manderà le piogge e, con esse, l’abbondanza (Dt 11,13-15); darà a Israele la forza per sopraffare i nemici e conquistare le loro terre (Dt 11,23; 28,12) sì da elevarlo “al di sopra di tutte le nazioni” (Dt 26,19) e farne “il più grande popolo della terra” (Dt 28,1).
Analogamente, ai trasgressori della Legge vengono minacciate terribili sventure: malattie, morte, schiavitù, miseria, fame, distruzione. “Tutte queste maledizioni verranno su di te, ti perseguiteranno e ti raggiungeranno, fino a distruggerti, quando tu non avrai ubbidito alla voce del Signore, Iddio tuo, osservando i comandamenti e le leggi che Egli ti ha dato” (Dt 28,45; Dt 28,15-68; Lv 26,14-46). Non solo: “Se non hai cura di mettere in pratica tutte le parole di questa legge, scritta in questo libro [...], il Signore colpirà te e la tua posterità con mali straordinari, con flagelli grandi e duraturi, con malattie gravi e ostinate” (Dt 28,58-59). “E se nonostante questo non mi ubbidirete e vi ostinerete ancora contro di me, Io pure mi ostinerò con furore contro di voi, e vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati” (Lv 26,27-28). Si può agevolmente comprendere come perfino i più disincantati e i meno creduli temano questa sorta di maledizione che pende sulle loro teste, soprattutto nel periodo di redazione della Torah (VI secolo), in cui il pensiero magico è molto radicato e diffuso. E se la maledizione divina minacciata per bocca dei profeti si avverasse? Se veramente Dio li punisse per la loro trasgressione? Questa paura agisce da freno anche per coloro che vorrebbero intraprendere strade nuove e al di fuori di ogni schematismo religioso e consuetudinario, sì che alla fine prevale la corrente tradizionalista, ossia i difensori della legalità integrale.
Ora, se gli ebrei devono rispettare la Legge è necessario che questa sia chiara e abbracci ogni possibile evenienza. A ciò provvedono gli scribi o dottori della Legge, i quali formulano le diverse centinaia di precetti che andranno a costituire prima la Mishnah e poi il Talmud. I leviti ne rivendicheranno l’esclusiva. Essi, più che con il culto sacrificale, acquisteranno prestigio perché saranno ritenuti i soli interpreti dei comandamenti di Dio. “I leviti, gli unici continui e perennanti sostenitori della fede in Jahve, in forza della natura delle loro funzioni socialmente rilevanti, si sentivano come detentori di quel sapere che metteva in grado di conoscere con quali peccati ci si attirasse la sciagura e come vi si potesse riparare” (Weber 1980: 228). Ne deriverà quel legalismo esasperato, che sarà visto da molti come unico mezzo per stare con Dio, ma contro il quale lancerà i suoi strali Gesù di Nazareth. Il risultato finale è, come nota l’allora cardinale Ratzinger, che l’Antico Testamento si presenta “complessivamente non sotto il concetto di «fede», bensì sotto quello di «legge»” (Ratzinger 1974: 19), il che implica l’incoraggiamento dell’esteriorità e del formalismo, ma anche di una moralità eteronoma.
Presso molti ebrei, azione moralmente giusta è quella che si svolge nel rispetto della Legge e della Mishnah; azione peccaminosa quella che devia dalla Legge e dalla Mishnah, indipendentemente dalle intenzioni del soggetto che agisce. La legge esteriore esprime delle norme fisse e perpetue, che valgono anche per le generazioni future (Dt 31,12; 11,32), e richiedono un’osservanza alla lettera, anche puramente meccanica (Dt 4,2; 6,17; 11,28; 13,1). Da qui l’ammonimento: “Vi costringerò ad essere il mio gregge e ad accettare il mio patto” (Ez 20,37). Nessuno spazio viene concesso al libero arbitrio e alla coscienza personale, e la Legge diviene il metro dell’etica: bene è l’osservanza oggettiva della Legge, male l’inosservanza. Così, il fondamento della morale viene a corrispondere con l’ubbidienza (anche passiva) alla Legge; il fondamento del peccato la disubbidienza (anche passiva) alla Legge. Fedeli assertori di una morale eteronoma, coerentemente, molti giudei finiscono per ravvisare nella morale autonoma, di tipo adulto, la radice stessa del peccato e la considerano inconciliabile con la loro fede nel Patto.
Ma non tutti gli ebrei condividono questo modo di concepire e applicare la Legge. In particolare, già a partire dal VI secolo, alcuni profeti affermano che la legge esteriore non è sufficiente: “Come potete credervi saggi soltanto perché avete la legge del Signore, dal momento che gli stessi vostri maestri l’hanno completamente falsata?” (Ger 8,8). Dio, ammoniscono, vuole il rispetto di una Legge interiore: “Questa è l’alleanza che io concluderò con il popolo d’Israele dopo quei giorni: Io metterò la mia legge dentro di loro e la scriverò nel loro cuore” (Ger 31,33). “Metterò dentro di voi un cuore nuovo e uno spirito nuovo: toglierò il vostro cuore di pietra, ostinato, e lo sostituirò con un cuore vero, ubbidiente” (Ez 11,19; cfr Ez 36,26). Si ha l’impressione di un semplice cambiamento di metodo: anziché dare le «tavole» a un profeta, affinché le trasmetta al suo popolo, questa volta Dio «scrive» i suoi comandamenti direttamente nel cuore dell’uomo. Ma la sostanza non cambia, perché nemmeno in questo caso l’uomo appare come un essere libero e responsabile, ma continua ad essere diretto dall’esterno, come un bambino. In ogni caso, il peccato rimane essenzialmente un atto di disubbidienza o di ribellione dell’uomo a Dio, ovvero la presunzione dell’uomo di autodeterminarsi e conseguire l’autonomia morale (Gn 2,17).

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