martedì 13 luglio 2010

III.2.8. Giuda (922 – 870)

Sul trono di Giuda s’insedia il figlio di Salomone, Roboamo (922-913), il quale, essendo il naturale continuatore della dinastia di Davide, non solo conserva le strutture di potere del padre (l’apparato burocratico, l’esercito, il tempio), ma può anche contare sull’appoggio dei sacerdoti, i quali credono che il regno di Giuda sia imperituro, perché poggia sull’alleanza eterna che lega Jahve alla stirpe di Davide: “Hai stretto un’alleanza con l’uomo da te scelto, hai giurato a Davide, tuo servo: «Renderò salda la tua dinastia per tutti i tempi. Ti darò un trono che duri per sempre»” (Sal 88,4-5; cfr. 2Sam 23,1-7). Giuda gode anche di un ampio consenso di popolo, ma è una monarchia debole, non solo perché è un paese relativamente povero, ma anche perché una parte dei funzionari e dei militari, che mal avevano sopportato la precedente monarchia, sono passati a Israele, e perché ha perso Ammon e Moab, che si sono resi indipendenti.
È in questo contesto che i giudei cominciano a elaborare la loro particolare concezione enoteistica, la quale stabilisce che Jahve non è l’unico dio, bensì “il più terribile di tutti gli dèi” (Sal 96, 4) o il “più grande di tutti gli dèi” (Sal 97, 9). L’enoteismo si afferma in Giuda perché rappresenta la migliore garanzia che Gerusalemme non sarebbe mai caduta e il popolo eletto non “avrebbe avuto nulla da temere nemmeno se l’intero ordine cosmico fosse crollato intorno a lui: Dio era il suo rifugio e la sua forza” (Armstrong 2000: 64). Il principio è semplice: se è vero che il dio tutelare protegge sempre il suo popolo e se è vero che Jahve è il più potente di tutti gli dèi, ne consegue che Giuda non solo non ha nulla da temere, ma può anche attaccare Israele con la certezza di sottometterlo. I profeti però ammoniscono: Jahve sosterrà il suo popolo solo a condizione che tutti i suoi membri saranno disposti a riconoscerlo come il più potente fra tutti gli dèi e tributeranno a lui un culto esclusivo, espellendo dalla propria terra ogni altra divinità.
A fronte di questa fede religiosa, la realtà è che, per quanto Roboamo possa ritenere di avere tutte le ragioni per tentare di riunificare il regno sotto il suo scettro, dal momento che non dispone della forza necessaria per riuscire nell’impresa, altro non può fare che impegnarsi in piccoli scontri, tesi più che altro a definire i confini. Le mire di Roboamo su Israele si dissolvono quando, intorno al 918, in Egitto, un nobile libico, di nome Sheshonq, dopo aver rovesciato la XXI Dinastia e fondato la XXII, volendo riaffermare l’autorità egiziana in Asia, scatena una massiccia offensiva in tutta la Palestina e costringe Roboamo a versare un enorme tributo. Dopo questo attacco Roboamo deve rinunciare ad ogni velleità su Israele. Gli rimane però la consapevolezza di essere l’unico re legittimo e di poter contare sull’unico tempio.
Le pretese annessionistiche su Israele riprendono sotto i regni di Abia (913-11) e Asa (911-870), ma senza successo. Israele, infatti, è troppo forte per essere piegato militarmente e troppo indipendentista per farlo spontaneamente. Da parte sua, il regno di Giuda è più sicuro di sé, animato com’è dalla fede nelle sue origini, che fanno capo al più potente degli dèi (Sal 96, 9). Qualunque cosa dovesse accadere, persino se le montagne dovessero precipitare nel mare, i suoi abitanti non avrebbero nulla da temere. È questa l’unica grande forza della gente di Giuda: l’incrollabile nazionalismo che scaturisce da un’altrettanto incrollabile enoteismo. Ed è proprio in virtù di questa forza che il più potente regno di Israele non riesce ad imporsi sul suo rivale.

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