lunedì 12 luglio 2010

III.3.3. L’idea della giustizia divina presso gli ebrei

La più urgente questione che gli esuli si trovano a dover affrontare è certamente quella della giustizia divina. Perché Jahve, il più potente degli dèi, che è buono e giusto per definizione, ha lasciato che il proprio popolo venisse calpestato dai suoi nemici? Per gli ebrei è di vitale importanza risolvere questa questione prima delle altre, perché se si stabilisse che Jahve non è affidabile, anche la fede in lui naufragherebbe. Profeti, sacerdoti e intellettuali cercano allora di trovare una risposta a questa questione, ma il loro compito non è facile. In casi del genere, infatti, le religioni tendono a spostare la giustizia divina a livello ultraterreno: così è nell’antico Egitto, così sarà per il cristianesimo e l’islamismo. Ebbene, per gli ebrei questa scappatoia non è praticabile, dal momento che essi non credono in una nuova vita dopo la morte.
Gli ebrei non credono in un’anima immortale e si aspettano che la giustizia divina operi nel corso della vita terrena. “Se l’uomo potesse morire e poi rivivere – argomenta Giobbe – aspetterei che passi il tempo del mio servizio, fino a che venisse il mio cambio” (Gb 14,14). Invece, prosegue Giobbe, la vita finisce con la morte e l’innocente che venga punito da Dio su questa terra non riuscirà mai a comprenderne il perché (Gb 14,18-22). Ma perché gli ebrei non credono nell’aldilà? Abbiamo avuto modo di notare come gli egizi siano recettivi nei confronti dell’idea dell’aldilà. Pertanto, se lo volessero, anche gli ebrei potrebbero far propria quella fede. In altri termini, nulla impedisce loro di credere in una retribuzione post mortem. Pertanto, il fatto che non accettino quella fede deve farci ipotizzare un rifiuto deliberato a favore di una soluzione terrena, che sembra loro più consona ad una giustizia divina degna di questo nome. Al massimo, gli ebrei sono disposti ad ammettere una resurrezione dei morti. “Io sto per aprire le vostre tombe: vi farò uscire, popolo mio, e vi condurrò nella vostra terra, Israele” (Ez 37,12). Ma anche in questo caso, essi pensano ad un regno di Jahve insediato su questa terra e, precisamente, in Israele. Così, il profeta Baruc cerca di convincere Dio a comportarsi diversamente, nel suo stesso interesse. Che senso ha, infatti, argomenta il profeta, retribuire uno che muore? Non è meglio una giustizia tangibile, diretta, immediata ed esemplare? “Apri i tuoi occhi e renditi conto che i morti, ormai senza vita, non possono nella tomba lodarti e ringraziarti per la tua salvezza. Invece chi è vivo e geme per la fatica, chi cammina curvo e stanco, chi stenta a vedere e chi ha fame, ti loderanno e ringrazieranno, o Signore, se tu li salvi” (Bar 2,17-18).
Gli ebrei si aspettano non solo la propria affermazione, ma anche la punizione dei nemici. La giustizia divina, secondo le attese profetiche, si articola, infatti, sul seguente caposaldo: salvezza per gli ebrei, castigo per in non-ebrei, nonostante tutto. Dio salverà il suo popolo e punirà le nazioni nemiche. “Il Signore è un Dio esigente, egli punisce chi si oppone a lui; la sua collera è terribile. Il Signore si vendica dei suoi nemici, è adirato contro di loro” (Na 1,2). Alla fine Dio farà trionfare Gerusalemme e darà il meritato castigo ai suoi nemici. “Sopportate con pazienza, o figli, il castigo che Dio vi ha mandato. Il nemico vi ha oppressi, ma ben presto vedrete la sua distruzione; voi stessi calpesterete i vostri nemici” (Bar 4,25). “Colui che vi ha castigati con tanti mali vi salverà e vi riempirà per sempre di gioia” (Bar 4,29). Il Signore predice la fine di Babilonia (Is 14,22-23), dei Filistei (Is 14,30), dei Moabiti (Is 16,14), degli Etiopi (Is 18,5-6), degli Egiziani (Is 19,4), degli Arabi (Is 21,16). Insomma per tutti i nemici di Israele è prevista un’esemplare punizione a riprova dell’amore che Dio nutre per il suo popolo. “I tuoi nemici non sanno che li punirai. Signore, sii per loro causa di vergogna e di sofferenza; con i castighi che hai preparato, mostra loro quanto ami il tuo popolo” (Is 26,11). “Il Signore assicura a Israele: il frutto del lavoro degli Egiziani, il guadagno degli Etiopi e degli abitanti di Seba, così alti di statura, diventerà tuo, sarà di tua proprietà! Questi uomini ti verranno dietro, incatenati, ti si prostreranno dinanzi e riconosceranno: Non c’è altro Dio che il tuo, non esistono altre divinità” (Is 45,14). “Gerusalemme, togliti gli abiti di lutto e di dolore, mettiti i vestiti più belli, segno delle gloria che Dio ti assicura per sempre” (Bar 5,1).
Un Dio giusto, pensano gli ebrei, deve castigare l’empio e premiare il giusto nel corso della vita terrena. “Grandi affanni toccano agli empi, ma chi fida in Dio, l’amor suo lo cinge” (Sal 32,10; cfr Sal 37,10-11). “I benedetti da Dio possederanno la terra, quelli ch’egli maledice andranno distrutti” (Sal 37,22). Ovviamente, essi danno per scontato che i «buoni» sono loro e i «cattivi» gli altri. “Fammi giustizia, o Dio, poiché io cammino nell’integrità” (Sal 26,1) e non coinvolgermi nel destino che attende i peccatori (Sal 26,9).
Ora, nell’ottica degli ebrei, la caduta della monarchia, la distruzione del tempio, l’esilio, l’ignominia del popolo eletto, sono tutti fatti incomprensibili alla luce della fede in un dio che essi ritengono giusto per definizione. “Egli ama la giustizia e il diritto, e della sua bontà è piena la terra” (Sal 33,5).
Ad alimentare i dubbi degli ebrei circa una giustizia divina effettivamente giusta concorrono anche i modi in cui Jahve è concepito nell’immaginario collettivo. Basti ricordare che tra i sentimenti attribuiti a Jahve vi sono la ferocia (Gn 6,7; Nm 25,4; 25,17), la vendetta (Nm 31,3), l’odio (Lv 26,30), la severità (Nm 14,26-39; Lv 26,14-39), la crudeltà (Es 12,29; 32,29) e la collera (Es 12,29; 32,29; Sal 89,47), e sono tutti difficilmente compatibili con l’idea di giustizia che hanno gli ebrei. In virtù di questi sentimenti, infatti, Jahve finisce, ai loro occhi, per assumere un aspetto dispotico, capriccioso e violento. Talvolta si ha l’impressione che gli ebrei considerino la collera divina come una sorta di pulsione che si deve in qualche modo scaricare, non importa su chi (è contemplata, infatti, la possibilità della ridirezione). Alcuni ebrei sono convinti che la collera divina debba necessariamente sfogarsi e che non faccia differenza se a pagare sia il responsabile o l’innocente. Perciò essi non mancano di supplicare Dio di non sfogare la sua rabbia verso di loro. “Non trattarci con ira: per noi sarebbe la fine! Rivolgi la tua collera contro queste nazioni. Esse non ti conoscono come Dio e non ti invocano. Hanno distrutto completamente il tuo popolo e hanno devastato il tuo territorio” (Ger 10,24-25).
Non solo i grandi eventi storici, come la caduta di Gerusalemme e la distruzione del tempio, ma anche i fatti della vita quotidiana fanno a pugni con la fede degli ebrei nella giustizia divina. La realtà dimostra, infatti, che spesso i buoni soffrono e gli empi trionfano. “L’empio va fiero ed è angariato il povero, è preso negli agguati che quello gli tende” (Sal 10,2). Preso atto che spesso gli empi prosperano (Sal 73,4-9), gli ebrei si interrogano: “Ecco, tali sono i malvagi, sempre felici, crescono in agiatezza. Dunque invano tenni puro il mio cuore, serbai monde e innocenti le mie mani?” (Sal 73,12-13). Perfino quando segue la giusta via e osserva i comandamenti il popolo soffre. Che giustizia è mai questa? “Ci fai zimbello dei nostri vicini, scherno e beffa di chi ci sta intorno” (Sal 44,14). “Questo ci incolse, senz’averti dimenticato, senz’aver trasgredito il tuo patto. Non ci volse indietro il nostro cuore né ci sviammo dal tuo cammino. Eppure ci hai spinto in luoghi da sciacalli, ci hai ravvolti in ombra di morte” (Sal 44,18-20).
Gli ebrei restano sgomenti di fronte a un tipo di giustizia divina che non riescono a comprendere. “Nessuno ha mai sentito, inteso, visto un Dio come te, che abbia agito così per quelli che sperano in lui” (Is 64,3). Lo sgomento degli ebrei raggiunge il parossismo di fronte alla constatazione che, facendo una valutazione di meriti e demeriti, i castighi sembrano più duri per Israele, il popolo prediletto, piuttosto che gli altri popoli, e imprecano contro lo stesso Jahve: “Come mai taci mentre i malvagi distruggono uomini che sono più giusti di loro?” (Ab 1,13). E ancora: «Dov’è il Dio che giudica con giustizia?»” (Ml 2,17).

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