lunedì 12 luglio 2010

B) Il contenuto della Promessa

In generale, gli ebrei si aspettano una felicità materiale su questa terra, una felicità fatta di tante cose particolari, come il ritorno di Israele al suo primitivo splendore (Ger 30,18; Am 9,11ss; Zc 8,7-8; Ez 34,29-31; Na 2,3) e la restaurazione di una sorta di regno perfetto, dove non ci saranno cattiverie e ingiustizie (Is 65,16-25; Zc 8,12-17) e dove essi potranno vivere felici e invidiati da tutti (Ml 3). A capo del regno gli ebrei immaginano un principe ebreo (Ger 30,21) della stirpe di David (Ger 33,21; Ag 2,23; Ez 34,24; 37,22-24) o di Dio stesso (Gl 4,21; Abd 21; Mic 4,1) assiso sul monte Sion. All’interno di questo regno, gli ebrei si aspettano di poter godere di tutta una serie di benefici molto concreti. “Che esso [Israele] abbia un’innumerevole discendenza, tanto che il popolo sia numeroso come la rena del mare, che sia vittorioso su tutti i nemici, che abbia pioggia, copiosi raccolti e sicuri possessi, e infine che il nome degli avi leggendari e del popolo benedetto diventi esso medesimo una parola di benedizione, tutto questo si sperava dal possente Dio dell’alleanza accettato come proprio” (Weber 1980: 132). Insomma, “Senza farsi illusioni su quel che viene dopo la morte, l’antica religione d’Israele afferma il proprio attaccamento ai valori terrestri, la longevità, la posterità, la prosperità e la salute, concepite come altrettante benedizioni concesse da Jahve all’individuo, come anche tutto ciò che esprime la vitalità e la grandezza della nazione e del suo dio, la vittoria e le conquiste fuori della patria, la pace e la giustizia sociale all’interno” (Caquot 1988: 60).
Gli ebrei si aspettano anche un castigo degli attuali nemici di Israele (Ger 30,20; 46-51; Gl 4,12; Abd 15; Zc 2,12-13; Ez 25-32), se non addirittura la loro quasi totale eliminazione. È il sogno di tutti. Gli assiri, i babilonesi, i persiani, i macedoni, i romani, tutti miravano a liberarsi dai nemici, ma con mezzi umani. Gli ebrei mirano allo stesso scopo per grazia di Dio. Un’altra specificità degli ebrei è che essi prevedono che non tutti i nemici periranno, ma che “ci saranno dei sopravvissuti” (Zc 14,16): serviranno a testimoniare la propria disfatta e il trionfo degli ebrei. Insomma, da quella battaglia epocale che si svolgerà alla fine dei tempi, i nemici dovranno uscire umiliati e perfettamente consapevoli del loro errore (Abd 16). In particolare, essi dovranno comprendere, con grande chiarezza, che unico protagonista in tutte le vicende umane è, e deve essere, Dio e che, pertanto, solo chi punta su Dio, alla fine, trionferà, mentre chi fonda le proprie speranze sul fattore umano non può che fallire.
Gli ebrei si aspettano anche la ricostituzione del regno giudaico, che dovrebbe seguire alla vittoria finale degli ebrei, la quale, più che una loro affermazione, in quanto uomini, rappresenterà l’apoteosi di Dio e dovrà imporsi come un evento esemplare. “Io manifesterò la mia presenza gloriosa alle nazioni. Esse vedranno come giudico ed eseguo la mia sentenza nei loro confronti. Da quel giorno in poi, gli Israeliti riconosceranno che io sono il Signore loro Dio. Le altre nazioni comprenderanno che gli Israeliti sono stati deportati per le loro colpe. Essi si sono ribellati a me, perciò io ho voltato loro le spalle, li ho abbandonati in mano ai loro nemici e sono morti in guerra. Mi sono allontanato da loro e li ho trattati come meritavano le loro azioni malvagie e peccaminose […]. Per mezzo loro io mostrerò ai molti popoli vicini che sono Dio, il Santo” (Ez 39,21-27). Alla fine, Dio stesso insedierà il suo trono sul monte Sion, ovvero a Gerusalemme (Abd 21; Zc 8,3), e da lì governerà il mondo intero, avendo negli ebrei i suoi collaboratori più stretti.
Insieme a ciò, gli ebrei si aspettano anche il riconoscimento della loro superiorità da parte dei loro nemici, i quali dovranno inchinarsi dinanzi al quel piccolo-grande popolo, che, unico al mondo, ha saputo scorgere l’unica strada che porta alla felicità. “Tutte le nazioni straniere riconosceranno che siete felici, perché si vivrà bene nella vostra terra” (Ml 3,12). Il riconoscimento costituisce una componente essenziale dei sogni di affermazione degli ebrei e rappresenta una sorta di rivincita e di compenso per tutti quei secoli che si sono trovati in condizione di inferiorità e maltrattati dai nemici. Quando Dio avrà realizzato la promessa, saranno proprio i nemici ad ammettere il proprio errore e a tributare agli ebrei il dovuto onore: un vero e proprio trionfo che gli ebrei associano inscindibilmente ad un giudizio divino di condanna dei loro nemici. “Si preparino le nazioni e vadano nella valle del Giudizio, perché là io, il Signore, giudicherò tutte le nazioni dei dintorni” (Gl 4,12).
Solo tardivamente si fa strada l’idea dell’esistenza di una retribuzione divina dopo la morte. Vi si giunge per gradi. Si comincia con l’affermare che non tutto finisce con la morte: “Sì, la vita di una persona buona finisce, ma il suo ricordo durerà per sempre” (Sir 41,13). Poi si passa ad ammettere la resurrezione dei morti: “Popolo mio, tutti i tuoi morti vivranno di nuovo! I loro corpi ritorneranno a vivere. Quelli che dormono nelle tombe si sveglieranno e canteranno di gioia” (Is 26,19). “Io sto per aprire le vostre tombe: vi farò uscire, popolo mio, e vi condurrò nella vostra terra, Israele” (Ez 37,12). L’obiettivo però non cambia: un regno terreno. Semplicemente lo si rende accessibile anche ai morti. Solo in epoca tardo-ellenistica si comincerà a delineare una credenza in un aldilà ultraterreno, dove i buoni sarebbero vissuti felici e i malvagi sarebbero stati dannati per l’eternità (Dn 12,2).

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