martedì 13 luglio 2010

III.2.3. Verso la monarchia

I filistei costituiscono una temibile aristocrazia militare, molto efficiente e moderna, la quale, pur non potendo contare su un esercito numeroso, può schierare truppe ben disciplinate e dotate di armi di ferro e di carri da guerra. “Fornito delle armi più moderne, addestrato ed esperto nelle cose della guerra per le sue continue campagne militari e ben organizzato dal punto di vista politico, il popolo dei filistei, avido di conquiste, si è insediato dal 1200 a.C. nella costa occidentale. Il suo obiettivo è lo stesso a cui mira Israele: Canaan!” (Keller 1986: 187).
Gli ebrei non possono sperare di piegare un così formidabile nemico, ma i sacerdoti li rassicurano: non è l’uomo a vincere – dicono – ma è Jahve che stabilisce le sorti della battaglia. Alla fine decidono di affrontare il nemico confidando sull’Arca Santa (uno scrigno sacro contenente le tavole della Legge: rappresenta Jahve), che viene trasportata sul campo di battaglia, ad Afek. Corre l’anno 1050. Lo scontro si risolve in una terribile disfatta per gli israeliti. Ofni e Finess, i sacerdoti che portano l’arca, rimangono uccisi e la stessa arca cade in mano al nemico (1Sam 4,10-11). No, non è quella la strada. È allora che comincia a prendere quota la corrente dei filomonarchici, ma bisognerà attendere fino al 1020 prima che gli ebrei si risolvano ad accettare la monarchia.
Il giudice in carica in quel momento è Samuele, un uomo con le caratteristiche del sacerdote più che del condottiero, assolutamente incapace e inadatto a condurre la guerra contro i filistei con una minima speranza di successo. A lui gli ebrei chiedono: “Scegli un re che ci governi, come avviene presso gli altri popoli” (1Sam 8, 5). Sono trascorsi 30 anni dalla disfatta di Afek! Vista la situazione, Samuele non può fare altro che accettare, anche se quella richiesta, in fondo, non gli piace (1Sam 8,6) e la considera alla stregua di un rifiuto della regalità di Jahve (1Sam 8,7). Ciò lascia trasparire la difficoltà di far coesistere un re umano con un re divino. Sarà questo un punto sui insisteranno molto i profeti nei tempi a venire.
La scelta monarchica è avversata principalmente dagli ebrei più pii, che la tollerano solo per necessità e per superare le difficoltà contingenti. Ai loro occhi il ricorso ad un re umano corrisponde ad una deflessione di fede, ad un’offesa nei confronti di Jahve, ad un mettere in dubbio la sua potenza e lo stesso contenuto della sua promessa. In costoro rimane ancora forte il fascino e la nostalgia per la cultura tribale predicata da Mosè, dove non c’è posto per un re umano. Essi confidano in un’azione diretta da parte di Jahve, e non si aspettano nulla di buono da parte degli uomini. Questa posizione sarà assunta dai profeti, ma, per il momento, il profetismo è appena agli inizi e rappresenta una corrente di pensiero ausiliaria e secondaria. Al momento, la maggioranza degli ebrei vede nella monarchia la soluzione migliore possibile e l’unica in grado di unire le varie tribù e di fare di loro un vero popolo, un popolo grande, forte e predestinato a futura gloria.

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