lunedì 12 luglio 2010

III.4.3. Giudea (450 – 333)

La situazione comincia a cambiare solo dopo che il re persiano Artaserse I decide di inviare in Palestina un suo funzionario ebreo di nome Esdra (450 ca.), forse col compito di appianare le tensioni sociali. Esdra conferma i divieti e le prescrizioni già previsti dalla Legge, come la proi¬bizione dell’uso di certi cibi (Lv 7,23-27), il di¬vieto di commensalità, il riposo sabatico (Ger 17,19-27; Is 56,1-8) e la circoncisione (Gn 17,9-14) e, in aggiunta a ciò, impone a tutti gli uomini di ripudiare le mogli straniere e i figli avuti da esse (Esd 9,12). Stabilisce, infine, che il sommo sacerdote deve rigorosamente essere un discendente di Sadoq, primo sommo sacerdote ai tempi di Salomone e, a sua volta, discendente da Aronne.
Le misure separatiste adottate da Esdra hanno l’effetto di rafforzare lo Stato sacerdotale, ma scatenano la reazione violenta della Samaria, di cui la Giudea fa parte. Sentendosi in pericolo, gli ebrei si rivolgono al re Artaserse, il quale invia un altro funzionario, Neemia (430 ca.), allo scopo di fortificare Gerusalemme, metterla al riparo da possibili attacchi da parte dei samaritani e creare condizioni favorevoli alla pace sociale. Nonostante l’ostilità di Samaria, Neemia riesce ugualmente sia a costruire le mura intorno a Gerusalemme, sia a rendere la Giudea indipendente. Sul versante delle riforme, il funzionario persiano conferma le misure adottate da Esdra, in particolare il riposo sabatico e il divieto di contrarre matrimoni con gente straniera (Ne 13,25), ma impone anche il pagamento di una tassa annuale per il mantenimento del tempio. Adesso, “la città-tempio, chiusa rispetto ai vicini e aperta verso i correligionari della diaspora, è governata dal sacerdozio quale unico legittimo interprete della Legge” (Liverani 2003: 368). I samaritani rispondono costruendo a Sichem, proprio in quegli anni, un tempio dedicato a Jahve e lo affidano ad un sacerdote sadocita. Da questo momento, gli ebrei vedono se stessi e vengono visti dagli altri come un popolo speciale, che si emargina e viene emarginato, un popolo-paria, come amerà dire Weber. La politica autosegregazionista promossa da Esdra si rivela decisiva nel conservare quel sentimento di unità nazionale che altrimenti avrebbe potuto essere smarrito. Senza di esse, infatti, “il giudaismo della Diaspora sarebbe probabilmente scomparso dalla scena della storia” (Caquot 1988: 134). Il prezzo pagato è l’isolamento politico internazionale.
La monarchia tramonta definitivamente, non solo per opera delle riforme di Esdra e Neemia, ma anche sotto i colpi degli ultimi profeti, che sono Abdia, Trito-Isaia e Gioele. Ora la Giudea ha una legge scritta, che consiste nei primi cinque libri della Bibbia (Pentateuco), ha un interprete della stessa, il sacerdote, ha una tradizione invidiabile, che, passando per Davide, Mosè e Abramo, giunge fino alla creazione del mondo e, soprattutto, ha la certezza di un destino di gloria, che si basa sulla promessa dell’unico Dio.
Il rifiuto della monarchia ha almeno quattro importanti effetti. In primo luogo, il re umano può essere visto come un capro espiatorio o una vittima sacrificale, che solleva gli ebrei dal loro senso di colpa nei confronti di Dio. In secondo luogo, il rifiuto della monarchia rafforza gli ebrei nell’idea che hanno imboccato la strada che i profeti avevano indicato da tempo: non confidare più negli uomini, ma solo in Dio. In terzo luogo, l’uscita di scena del re umano ha l’effetto di fa¬vorire l’ascesa della classe sacerdo¬tale, che va ad assu¬mere “il ruolo di una vera e propria classe dirigente” (Parente 1972-87: 167). In quarto luogo, ritorna in auge il vecchio collegio degli «anziani», che era la massima autorità politica fino ai tempi dei giudici, ma che era decaduto dopo l’affermazione della monarchia.
Nella teocrazia della Giudea del IV-II secolo, il sommo sacerdote non è né un dio (com’era invece il faraone egizio), né una sorta di semidio (com’era il re mesopotamico): è semplicemente un uomo come gli altri, prescelto da Jahve, a suo insindacabile giudizio, come interlocutore privilegiato. Nella so¬stanza, egli svolge le fun¬zioni di re senza averne alcun titolo: il titolo regale spetta unicamente a Dio, il quale, quando vorrà, se lo verrà a riprendere. In pratica, il sacerdote è un sovrano ad interim, la cui principale funzione è quella di farsi custode e garante della legge di Dio, che è anche la legge dello Stato. Si chiude così il ciclo storico iniziato ai tempi di Mosè con alcune tribù di pastori nomadi, che erano ritenute senza nome e senza futuro e che ora sono divenute un popolo, e non un popolo qualunque, ma un popolo eccezionale, unico, il più fortunato tra i popoli, perché governato da un dio in persona, il più potente degli dèi, anzi l’unico vero Dio.
Ora, avendo innalzato Dio ad una distanza infinita rispetto agli uomini e avendo rinunciato alla figura di un re-dio come naturale mediatore fra Dio e gli uomini, i giudei trovano opportuno ricorrere a figure intermedie, ossia agli angeli, che distinguono in buoni e cattivi, e cominciano a introdurre ritocchi alla loro vecchia teodicea: il male del mondo è sì dovuto al mancato rispetto della legge, ma un peso rilevante viene ora attribuito all’influenza malefica degli angeli malvagi.
Con le riforme di Esdra e di Neemia prende forma quella religione, nota come giudaismo, che si manterrà senza sostanziali differenze lungo i secoli a venire e il cui elemento qualificante è la legge: da qui in avanti si potrà essere giudeo anche senza avere un sovrano e anche senza risiedere in patria. Il nuovo sovrano è Dio stesso, il quale governa attraverso la sua Legge, che è stata scritta una volta per tutte (1Mac 3,48) e di cui il sacerdote è un semplice custode. È così che si instaura la teocrazia. Ormai il profetismo non ha più nulla da dire e, infatti, scompare (1Mac 9,27), ma in compenso si diffondono le sinagoghe, luoghi dove i maestri della legge (scribi) leggono e commentano i testi sacri, ovvero la parola stessa di Dio, l’unica autorità suprema riconosciuta dagli ebrei.
Con Neemia (430) il racconto biblico si interrompe e, per il resto del periodo persiano, le nostre informazioni sulla Giudea sono scarsissime. C’è da credere che la situazione sia rimasta stabile e la Giudea sia continuata ad essere un piccolo e tranquillo paese sacerdotale inserito nell’immenso impero persiano. A parte il tributo che deve versare al re, per il resto la gente è libera di vivere come meglio crede e di praticare la propria religione.

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