lunedì 12 luglio 2010

III.4.4. La fallacia del «re umano perfetto»

Al tramonto della monarchia non corrisponde la scomparsa dell’ideale monarchico, ma piuttosto una sublimazione della monarchia e un’elaborazione dell’idea del «re perfetto», che per definizione è Dio stesso, ma che, nell’immaginario ebraico, può anche essere un uomo eccezionale, tanto perfetto da poter attuare la promessa di Dio e governare come se fosse egli stesso Dio. In passato, essi hanno creduto che questo re perfetto potesse essere chiunque si fosse comportato secondo il volere di Jahve, rifiutando tutte le altre divinità. Ora, dei numerosi re di cui si parla nella Bibbia, solo tre – David, Ezechia e Gio¬sia – sfuggono alle critiche dei profeti. David, essendo stato il primo, diviene l’emblema del re perfetto dalla cui stirpe dovrà venire un nuovo re, il salva¬tore della sua gen¬te. “Hai stretto un’alleanza con l’uomo da te scelto, hai giurato a Davide, tuo servo: «Renderò salda la tua dinastia per tutti i tempi. Ti darò un trono che duri per sempre»” (Sal 88,4-5; cfr. 2Sam 23,1-7). Ecco stabilito il nesso con le spe¬ranze messianiche di cui dovremo parlare. Ma i fatti dimostrano ampiamente che nessuno di questi gradi sovrani appoggia pienamente le aspettative degli ebrei. Vediamone le possibili ragioni.

Davide
Nel caso di David (1000-960) possiamo dire che egli, in realtà, non fu esente da colpe gravi e, pertanto, egli non meritava da Dio più di quello che ricevette.

Ezechia
Un po’ diverso è il caso di Eze¬chia (716-687). Il suo comportamento viene descritto come esemplare: “Ezechia ebbe sempre fiducia nel Signore, Dio d’Israele. Nes¬sun re di Giuda fu come lui, né prima né dopo. Fu sempre fe¬dele al Signore, non si allontanò da lui e mise in pratica i comandamenti che il Signore aveva prescritto a Mosè” (2Re 18,5-6). La logica conseguenza do¬veva portare il redattore sacro a concludere che erano maturi i tempi perché Dio concedesse, final¬mente, ciò che aveva promesso. Per lo meno ci aspetteremmo che egli ci spiegasse o, semplice¬mente si chiedesse, perché mai Dio tardava. E invece non suc¬cede nulla di tutto ciò. Il testo biblico prosegue: “Il Si¬gnore fu con Ezechia, e così egli ebbe sempre successo. Si ribellò all’Assiria e non le fu più sottomesso. Riuscì a scon¬figgere i Filistei fino a Gaza e dintorni, conquistando sia i posti di guardia sia le grandi città fortificate” (2Re 18,7-8). Si tratta, come si vede, di una ricompensa limitata nel tempo e nelle dimensioni, comunque ben lon¬tana da quella che gli ebrei legittimamente si aspettavano: potremmo parlare di giustizia divina parziale.

Giosia
Ancora diverso appare il caso del re Gio¬sia (642-609). Di costui lo scrittore sacro ha solo parole di elogio: “Prima di Giosia non c’era stato alcun altro re che fosse tor¬nato al Signore con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze, seguendo l’intera legge di Mosè. Neppure dopo, ce ne fu un altro come lui” (2Re 23,25). Nono¬stante ciò, sap¬piamo che gli eventi gli furono avversi e che fu sconfitto e ucciso in battaglia. Alcuni anni dopo la sua morte avrà inizio la deportazione in Babilonia e si aprirà, pertanto, la pagina triste dell’esilio. Nel caso di Giosia appare ancora più arduo che nei casi precedenti trovare una risposta soddisfa¬cente circa la mancata attuazione della promessa divina. L’imbarazzo del profeta traspare dal tipo di risposta che egli fornisce, una risposta che finisce col sovvertire il senso umano di giustizia. Eccola: “il Signore non potè placare la sua ardente ira contro il re¬gno di Giuda: Manasse lo aveva troppo esasperato. Perciò il Signore disse: «Scaccerò lontano da me il popolo del regno di Giuda, come ho fatto con il popolo del regno d’Israele»” (2Re 23,26-27). Come dire: non premio il pio Giosia, perché il suo predecessore si è comportato male! A queste condizioni, la giustizia divina sfuggirà ad ogni logica umana. Infatti, se prima si credeva che Jahve avrebbe attuato la sua promessa qualora un re umano avesse dimostrato di sapersi comportare in modo perfetto, ora questa regola non vale più. L’esperienza ha insegnato agli ebrei che un re umano, per quanto dotato di eccelse qualità e per quanto virtuoso, non può garantire nulla, né nel campo militare, né in quello sociale e nemmeno in quelli religiosi, legislativi e giudiziari. Un re umano conserva, infatti, tutti i limiti della natura umana e non offre alcuna garanzia in nessun campo. Perciò la monarchia umana è da ritenere un governo, non solo fragile, ma anche intrinsecamente inappropriato. Questo è l’insegnamento che gli ebrei traggono dalla loro esperienza storica, ma ciò non impedisce loro di aspettare un messia, e su ciò avremo modo di ritornare.

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