martedì 13 luglio 2010

III.1.2. Gli inizi

Per la Bibbia, il punto di partenza è Ur, l’ultima città importante di Sumer, di cui abbiamo accennato nel precedente capitolo (cf. cap. II.3.5.). Dopo la caduta della III dinastia (2004), per Ur inizia una lunga agonia che si protrarrà per oltre tre secoli, nel corso della quale la città è costretta sulla difensiva, sempre in guerra, per un motivo o per l’altro, con questo o con quello, e flagellata dalle incursioni di tribù amorree ed elamite. Ishbierra, re di Isin (2017-1985), riesce a liberare Ur dagli Elamiti e ne cinge la corona, ma deve guardarsi dagli amorrei e da altre città che si contendono l’egemonia della Mesopotamia, senza che nessuna riesca nell’impresa. In un secondo tempo è Abisare, re di Larsa (1905-1895), ad assumere il controllo di Ur. Nel 1835 si apre un nuovo breve ma intenso periodo di lotte per la supremazia in Mesopotamia, che vede impegnati i re di Larsa, Assur, Mari e Babilonia, ma anche gli elamiti e gli amorrei. A questo lungo periodo di turbolenza pone termine Hammurabi (1792-1750), il quale riesce a sottomettere Ur ed unificare la Mesopotamia solo verso la fine del suo regno. Da questo momento Ur rimarrà sotto il dominio babilonese, ma non si arrenderà e continuerà a lottare per la sua indipendenza, fino a quando i babilonesi non si risolveranno a distruggerla (XVII secolo).
Questa digressione sulla storia di Ur fra il 2000 e il 1700 serve a far capire come sia difficile per un urita di questo periodo vivere in questa città. I costi della guerra sono spaventosi e i signori della città si vedono costretti a requisire tutti gli oggetti di valore (generi alimentari, animali, oro, argento) e arruolare tutti gli uomini adatti a combattere. Ma dopo una guerra ne comincia un’altra e non si vede una via d’uscita. Ci sono momenti che, per uno che abbia qualcosa da perdere, vivere a Ur è un vero e proprio incubo. Il morale della gente è a pezzi e molti vorrebbero fuggire, andare in posti lontani, magari in un deserto, pur di non restare in quell’inferno.
Ma dove andare? Tutta la Mesopotamia è una polveriera e non offre luoghi sicuri, e spingersi oltre costituisce un rischio difficilmente calcolabile. Perciò i più preferiscono restare e, in genere, si arruolano, nella certezza almeno di sfamarsi e con la speranza di portare a casa un pingue bottino: sono i poveri, coloro che non hanno nulla da perdere, a parte la vita, ma che potrebbero guadagnare. Anche per un ricco proprietario di terre e di case non è conveniente abbandonare i propri beni: è meglio restare, costi quel che costi. Ma per un agiato pastore, avvezzo a spostare il suo clan, le sue tende e il suo gregge da un luogo all’altro, può essere preferibile accettare il rischio che comporta il varcare i confini della Mesopotamia e mettersi alla ricerca di luoghi più tranquilli.

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