lunedì 12 luglio 2010

III.6.3. La Palestina e gli ebrei (1500-1881)

Nel 1517 la Palestina viene annessa all’impero ottomano, che la trascura. Si apre così un lungo periodo di vuoto politico, che si protrarrà per oltre due secoli e verrà colmato da potentati locali.
Con l’intento di incrementare la popolazione, che conta appena 250 mila abitanti, Solimano (1520-66) invita i profughi ebrei a farvi ritorno, e così molti ebrei, cacciati dalla Spagna e dal Portogallo, si rifugiano nel tollerante Impero ottomano, ma, dopo la morte di Solimano, il trattamento che essi ricevono peggiora.
Nei secoli XVI-XVIII, quasi tutti gli ebrei d’Europa vivono nei ghetti e non godono della parità di diritti rispetto agli altri cittadini . Tra essi si diffondono movimenti messianici, come quello di Sabbatai Zevi, che suscita un grande entusiasmo presso molti ebrei d’Europa, che si preparano a ritornare in Palestina, ma finisce in una cocente delusione generale quando il presunto messia, costretto a scegliere fra la condanna a morte e la conversione all’islam, accetta questa seconda opzione.
La piena uguaglianza politica è accordata per la prima volta agli ebrei dagli Stati Uniti dopo la Dichiarazione d’indipendenza del 1776 e, successivamente, dall’Assemblea Costituente francese del 1791 e da Napoleone, ma, con la Restaurazione, in Europa tutto torna come prima.
Nel 1800 la Palestina conta 330 mila abitanti, di cui 25 mila cristiani e 5 mila ebrei.
Nel 1825 gli arabi palestinesi insorgono contro l’eccessiva pressione fiscale e resistono alle forze ottomane, che alla fine sono costrette ad accettare le loro condizioni. Questo episodio rappresenta l’inizio del risveglio nazionalistico da parte degli arabi palestinesi.
Dopo una temporanea occupazione egiziana (1831-40), la Palestina ritorna ad essere una sottoprovincia (sangiaccato) dell’impero Ottomano. La popolazione rimane ancora arretrata, conduce una vita agricola e pastorale ed è raggruppata in clan, ciascuno dei quali è rappresentato da uno sceicco, primo fra eguali. Intorno al 1850, essa è abitata da circa 500 mila persone di lingua araba e di fede musulmana, 60 mila cristiani, 20 mila ebrei, 50 mila militari ottomani.
Dopo la guerra di Crimea (1853-6), gli europei, soprattutto i Templari tedeschi, cominciano a mostrare interesse per la Palestina e ottengono il permesso di acquistarvi terre. I nuovi arrivati vedono la popolazione indigena come gente di rango inferiore, che va convertita alla propria religione o eliminata, in modo da trasformare la Terra Santa in una colonia tedesca. Al loro seguito si mettono alcuni ebrei che, stremati dalle numerose persecuzioni subite e stanchi di sentirsi mal tollerati nei diversi paesi del pianeta, cominciano ad avvertire il bisogno di costituire un proprio Stato autonomo, dove poter vivere in pace. L’idea sionista assume ora una certa consistenza.
Da questo momento, si assiste ad una rinascita dell’attività economica della regione, ma anche ad un incremento demografico, che è legato in parte ad un ininterrotto flusso immigratorio di ebrei, che è favorito dai pogrom in Russia (il primo pogrom risale al 1881, dopo l’assassinio dello zar Alessandro II, di cui vengono incolpati gli ebrei). Le principali mete sono Gerusalemme e Jaffa. In questo periodo in Palestina vivono 24 mila ebrei.

Nessun commento:

Posta un commento