lunedì 12 luglio 2010

III.5.1. Giuda (333-166)

Intorno al 330 Alessandro Magno (336-23) conquista l’impero persiano e fonda in Egitto la città di Alessandria. Alla sua morte, l’impero viene diviso fra i suoi generali: a Tolomeo tocca l’Egitto, a Seleuco la Siria. La Palestina spetterebbe a Seleuco, che però deve lasciarla nelle mani dei più forti tolomei (o lagidi), i quali restano al potere per oltre un secolo e trattano i giudei con tolleranza, un po’ com’era successo sotto i persiani. In particolare ai giudei è consentito di vivere secondo la loro legge, mentre lo Stato contribuisce alle spese per il culto ed esenta dalle tasse il personale religioso. Sotto i tolomei molti giudei confluiscono ad Alessandria d’Egitto e qui costituiscono la comunità ebraica più numerosa e culturalmente vivace dell’epoca.
Pur essendo riconosciuta dalla legge la parità dei diritti, i giudei di Alessandria vivono segregati per volontà propria, nel rispetto dei dettami stabiliti fin dai tempi di Esdra e di Neemia, il che costituisce ormai un atteggiamento comune di tutte le comunità ebraiche della diaspora, che intendono in quel modo “preservare la solidarietà reciproca e le tradizioni” (Gugenheim 1988: 210). La maggior parte di loro parla il greco, ossia la lingua ufficiale del momento, e non comprende l’ebraico, né l’aramaico, le lingue in cui sono scritti i testi della Bibbia. In difesa della propria identità culturale, essi allora decidono di tradurre quei testi in greco (III-I secolo). Nasce così la cosiddetta Traduzione dei Settanta, che rende la Bibbia accessibile, non solo ai giudei della diaspora, ma anche a tutto l’Occidente, dove avrà un’eccezionale diffusione. Si tratta ormai della Bibbia definitiva, che include anche le opere più recenti, come il libro di Daniele e i libri dei Maccabei, che sono composti nel II sec. a.C., ma che non aggiungono nulla di sostanziale alla religione così come essa è andata definendosi nel corso del periodo persiano.
Nel 198 Antioco III (223-187) riesce ad annettere la Palestina all’impero seleucida, ma, entrato in urto con Roma, viene pesantemente sconfitto a Magnesia (190) e costretto ad accettare una pace umiliante che prevede, fra l’altro, il pagamento di una grossa somma di denaro e la consegna del proprio figlio (il futuro Antioco IV) come ostaggio. Nel 187, mentre depreda il tempio, allo scopo di raccogliere denaro da consegnare ai romani, viene ucciso e gli succede il figlio Seleuco IV (187-175). Trovandosi ad affrontare una perdurante crisi economica, ancora volta Seleuco attinge dal tesoro del tempio (2Mac 3,7-40), il che lo mette in cattiva luce agli occhi dei giudei. Così, nonostante i seleucidi mostrino un formale rispetto nei confronti degli antichi privilegi accordati ai giudei (2Mac 3,3), non sono ben visti da questi ultimi.
Seleuco IV muore assassinato e gli succede Antioco IV Epifane (175-163), il quale avvia una politica tesa alla diffusione dell’ellenismo in tutte le sue terre, Palestina compresa. In quel tempo è sommo sacerdote un certo Onia III, che è considerato uomo pio e saggio. Approfittando di una sua assenza, suo fratello Giasone si accorda con Antioco: in cambio di denaro, gli chiede il sommo sacerdozio e gli promette di aiutarlo nella sua politica di ellenizzazione. Ottenuto quel che ha chiesto, Giasone si ricorda della sua promessa e fa costruire, a Gerusalemme, un ginnasio, dove si iscrivono diversi giovani giudei, alcuni dei quali, dovendo gareggiare nudi, com’è costume, e vergognandosi delle propria diversità, essendo circoncisi, ricorrono a interventi chirurgici atti a ricostruire il prepuzio (1Mac 1,15), infrangendo così gravemente la Legge e attirandosi gli strali dei giudei ortodossi, che si oppongono a questa politica ellenizzante.
Ma Antioco usa il pugno di ferro e sottopone gli indocili ad ogni sorta di vessazione, ponendoli nelle condizioni più umilianti di tutta la loro storia, ancora peggiori di quelle che si erano verificate sotto gli assiri e i babilonesi: abolisce gli antichi privilegi, profana il tempio e incoraggia il culto a Zeus, insieme ad altre usanze pagane (1Mac 1,11-15; 2Mac 4,10-15), non rispetta le feste nazionali e il Sabato, distrugge le Sacre Scritture e proibisce la circoncisione dei bambini (1Mac 1,60; 2 Mac 6,10), minacciando la pena di morte a coloro che praticassero il culto giudaico (1Mac 1,45-50; 2Mac 6,9). È una delle prime persecuzioni religiose della storia!
Tre anni dopo, ad ottenere dal re il titolo di sommo sacerdote in cambio di denaro, è un certo Menelao, che, costretto alla fuga Giasone (2Mac 4,23-26), comincia a sottrarre i vasi del tempio per venderli (2Mac 4,32) e aiuta Antioco a spogliare il tempio di ogni tesoro (1Mac 1, 21-23; 2Mac 5,15-16). Queste misure risultano così odiose da suscitare il malcontento generale, che ben presto si tramuta in aperta ribellione, ma la repressione è ancora una volta dura. A partire da questo periodo il ruolo dei profeti si fa sempre più difficile, anche perché è sempre meno credibile una Promessa che, da secoli, è stata annunciata come imminente dai più autorevoli profeti senza mai avverarsi. Eppure Baruc trova ancora il coraggio di riproporre il solito ritornello e di affermare che per Gerusalemme verranno i giorni della gioia, della gloria e del trionfo (Bar 5,1-9).
Risale a questo periodo anche il libro di Daniele, il quale inaugura il genere apocalittico che si va diffondendo a partire dal II secolo, con lo scopo di svelare gli ultimi eventi che anticiperanno l’imminente avvento del regno di Dio. Il suo autore, servendosi di un linguaggio esoterico, intende incoraggiare il popolo a resistere a quella persecuzione. Interpretando i «70 anni» di Geremia (Ger 25,12) come 70 settimane di anni, ossia come 490 anni, Daniele ritiene che i tempi della sofferenza siano giunti quasi al loro termine (Dan 9,24-27) e si dichiara convinto che anche quelli che sono morti per la causa di Dio verranno resuscitati (Dan 12,3). L’idea della resurrezione dei corpi e di un aldilà finisce per affermarsi perché è in grado di risolvere problemi altrimenti insormontabili, come quello della teodicea e quello della Promessa.

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