lunedì 12 luglio 2010

III.7.2. Gli inizi (1880-1918)

I primi terreni acquistati dagli ebrei in Palestina con l’intento di destinarli alla colonizzazione risalgono al 1855, ma bisognerà attendere ancora un quarto di secolo (1880) perché nasca il movimento Chibbat Zion (Amore per Sion), col quale viene fatta coincidere comunemente la data d’inizio del sionismo. Prima di questa data, gli ebrei che si sono insediati in Palestina lo hanno fatto solo a titolo personale e in genere per motivi religiosi.
La storia degli insediamenti agricoli comincia il 30 gennaio 1882, quando due studenti dell’Università di Char’kov, insieme ad altri dodici compagni, fondano un movimento chiamato Bilu (l’acronimo del versetto 2,5 di Isaia, che vuol dire pressappoco «andiamo nella terra di Giacobbe»). Nel volgere di pochi mesi esso conta già quasi 500 associati e sposta il proprio centro organizzativo a Kiev, da dove regola le partenze degli ebrei per la Palestina. Il primo gruppo di Biluim è costituito da 16 persone: partono il 24 giugno e quattordici di essi arrivano a Giaffa il 16 luglio, dove “diventano lavoratori agricoli, in condizioni difficili” (Bensoussan 2007: 147). La novità apportata da questa prima colonia agricola, che è in pratica un’enclave ebraica in territorio arabo, è che il suo gesto “non è più un atto individuale, isolato, ma è un’impresa collettiva, socialista e nazionale” (Bensoussan 2007: 146). Animati da un profondo idealismo, questi primi pionieri pensano che stanno ritornando nella loro patria, che stanno esercitando un proprio «diritto storico» incontestabile.
Nello stesso anno, Leon Pinsker pubblica un libro dal titolo Autoemancipazione, dove indica, come unica soluzione possibile per gli ebrei, la creazione di una terra propria, di un rifugio, che non necessariamente dovrà essere la Palestina (Potok 2003: 497-8). Preoccupato, il governo ottomano vara una legge contro l’immigrazione degli ebrei (1882), che però continua clandestinamente, sostenuta, fino al 1889, dall’aiuto economico di un ricco banchiere ebreo, il barone Edmond de Rothschild, e successivamente grazie ai fondi raccolti da un’organizzazione creata ad hoc.
Alla fine del 1884 sono arrivati in Palestina 50-60 mila Biluim, ma la maggior parte di essi ripartono. In pratica, si tratta di un’impresa fallimentare, che però finisce per diventare un mito e contribuisce a gettare “le basi per un ethos nazionale” (Bensoussan 2007: 148). Inizia così la storia della comunità ebraica in Palestina, il cosiddetto Yishuv.
Gli ebrei acquistano a caro prezzo le terre degli arabi ed, essendo a corto di braccia, le danno da coltivare proprio a questi ultimi (nel 1890 nelle aziende agricole ebraiche lavorano oltre tremila operai arabi), i quali dunque ci guadagnano, ma ciononostante non vedono di buon occhio gli ebrei. Nel 1891 un cospicuo numero di notabili arabi invia una petizione ad Istanbul chiedendo che si ponga un freno sia alle immigrazioni degli ebrei sia alla vendita di terreni ai sionisti, ma senza successo, e così, nel 1896, in un periodo in cui è di moda il colonialismo e il nazionalismo, il movimento sionista viene ufficializzato, anche se non c’è accordo unanime sulla sede.
Nel suo libro Lo Stato ebraico (1896), il giornalista ebreo, Theodor Herzl, che è uno dei più intraprendenti assertori del sionismo, suggerisce che gli ebrei debbano costituire la loro patria in Palestina, anche se ammette che la cosa non sarà facile. L’anno seguente (1897) viene istituita in Svizzera l’Associazione Sionista Mondiale (WZO). Lo slogan del momento, «una terra senza popolo per un popolo senza terra», lascia intendere che la Palestina sia una terra di nessuno, ma così, purtroppo, non è. Herzl vorrebbe comprare la Palestina, ma il sultano gli oppone un secco rifiuto, forse perché ritiene inconcepibile quella richiesta. In compenso gli offre la Mesopotamia (1902) in cambio di denaro, ottenendone un rifiuto (Potok 2003: 506). Nel 1903 la Gran Bretagna propone l’Uganda, ma anche in questo caso i sionisti rifiutano. Adesso è chiaro: essi vogliono la Palestina e si preparano alla sua conquista.
Il periodo compreso fra il 1903 e il 1906 fa registrare il picco dei pogrom, con migliaia di morti, e ciò contribuisce ad accrescere in molti ebrei il desiderio di avere una patria, ovvero un luogo sicuro dove condurre le proprie vite. Quella patria è già stata prescelta: il suo nome è Israele o, come la chiamano gli ebrei, Eretz Israel. Il primo passo del movimento sionista è, come abbiamo detto, acquistare le terre dei palestinesi per insediarvi comunità di coloni. Il secondo passo, quello di allontanare gli arabi dalla loro terra, è semplicemente ventilato, ma non attuato. Al 7° Congresso sionista (1905) “la questione dell’allontanamento degli arabi dalla Palestina è menzionato in termini crudi e provoca un rifiuto quasi unanime da parte dei delegati i quali mettono in rilievo non solo l’irrealizzabilità materiale di una tale proposta, ma soprattutto la sua immoralità” (Bensoussan 2007: 677).
Nel 1907 viene fondato il primo kibbutz e si avviano i lavori per la costruzione della moderna Tel Aviv.
Nel 1908 gli ebrei hanno acquistato terre pari al 15% dell’intera superficie palestinese (Morris 2001: 55).
Fino a questo momento gli ebrei si sono comportati come se la Palestina fosse terra di nessuno. Pertanto, l’esistenza di una popolazione autoctona araba rimane sostanzialmente una «questione sconosciuta» (Greilsammer 2007: 81). Al tempo stesso, il rifiuto arabo è limitato alle classi degli intellettuali e dei notabili. Le masse invece rimangono pressoché indifferenti, mentre i funzionari ottomani si lasciano facilmente corrompere e rilasciano regolari certificati di residenza ad ebrei che sono entrati solo per un breve soggiorno come pellegrini o turisti (Morris 2001: 59).
“Dopo il 1908, la rivolta araba assume una colorazione più nazionalista e una forma più violenta” (Bensoussan 2007: 281). Anche i palestinesi arabi iniziano a manifestare apertamente il loro nazionalismo e la loro aspirazione ad avere un proprio Stato, e fondano al-Fatat (1909), un movimento di difesa della nazione araba contro le pretese sioniste, che, per il momento, deve operare clandestinamente (Morris 2001: 45). In questo periodo (1910), gli ebrei rappresentano, “l’11 per cento della popolazione e possiedono circa il 2 per cento delle terre” (Bensoussan 2007: 289).
“Tra il 1901 e il 1914, più di 1.600.000 ebrei hanno lasciato l’Europa orientale: il 90 per cento si è diretto negli Stati Uniti e in Canada, l’8 per cento in altri paesi e solo il 2 per cento in Eretz Israel; ossia 35.000 persone, il 90 per cento delle quali è ripartito rapidamente” (Bensoussan 2007: 574). La ragione di questo scarso interesse per la Palestina è che, ancora nel 1914, la Palestina continua ad essere una regione dai confini indistinti, poco popolata e povera, “la cui economia è basata su un’agricoltura del tutto primitiva, mentre il commercio vi svolge un ruolo esclusivamente locale e l’industria è quasi inesistente” (Weinstock 2006: II, 57).
La situazione cambia nel corso della prima guerra mondiale. Nel 1915, allo scopo di indurre gli arabi a ribellarsi alla Turchia, gli inglesi promettono loro uno “Stato sovrano musulmano indipendente” (Armstrong 2000: 351) comprendente l’Arabia, la Mesopotamia e la Siria. In effetti, nel 1916, truppe beduine affiancano efficacemente l’esercito britannico in guerra contro i turchi, avvalendosi del supporto del colonnello inglese Thomas Edward Lawrence (il leggendario «Lawrence d’Arabia»). Nello stesso anno la regione viene divisa in due aree di influenza: Siria e Libano alla Francia, Mesopotamia e Palestina all’Inghilterra. Dello Stato arabo però non si parla. In compenso la Gran Bretagna crea due nuovi Stati arabi: l’Iraq e la Transgiordania (l’odierna Giordania). Due anni dopo, gli inglesi entrano a Gerusalemme e assumono il controllo della Palestina, che in quel momento ospita circa 50 mila ebrei.
Spinti da motivi contingenti, legati alla guerra che continua, e volendosi assicurare il sostegno tanto degli arabi quanto degli ebrei contro la Turchia, gli inglesi lasciano intendere ad entrambe le parti che saranno favorevoli alla costituzione di un loro Stato autonomo. Tale è il senso di una dichiarazione del ministro degli affari esteri, il filo-sionista lord Balfour, pubblicata nel novembre 1917, che promette un “focolare nazionale ebraico in Israele”, pur nel pieno rispetto delle popolazioni arabe residenti. La dichiarazione ha l’effetto di intensificare le immigrazioni degli ebrei, che ora vedono il loro sogno diventare più concreto. Leo Mozkin, un intellettuale sionista, comincia a stimare che sei milioni di ebrei potrebbero insediarsi in Palestina senza espellere la popolazione locale, che tuttavia dovrebbe rassegnarsi a vivere in condizioni minoritarie e subordinate (1918).

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