lunedì 12 luglio 2010

III.4.5. La redazione della Bibbia

Abbiamo osservato come, durante il periodo persiano, gli ebrei giungano a definire la gran parte del proprio pensiero religioso, che verrà espresso nella Bibbia e che rappresenta la sostanza di ciò che gli ebrei hanno capito del Testamento, ovvero dell’Alleanza di Jahve col suo popolo. La Bibbia è, infatti, il libro dell’alleanza fra Jahve e Israele (dopo la venuta di Cristo, vi si aggiungerà l’aggettivo «Antico», per distinguerlo dal Nuovo Testamento, che è quello di Cristo). Secondo Finkelstein, Silberman, la Bibbia “è la brillante storia di una famiglia e al contempo di una nazione” (2002: 41) o meglio “È la storia di Dio che sceglie una nazione” (Finkelstein, Silberman 2002: 41). Io direi che la Bibbia rappresenta anche l’atto di legittimazione della fortunata storia di un capoclan, Abramo, e della sua progenie. Nella seconda parte del libro abbiamo visto come questi atti di legittimazione costituiscano un fatto ordinario in tutta la Mezzaluna Fertile e segnino la storia di pressoché tutte le dinastie e tutti i popoli.
Al riguardo, il ruolo della scrittura è stato enorme. La scrittura consente di elaborare racconti, miti e leggende, fissare fatti di cronaca, usanze, leggi e ogni altro evento degno di interesse, che circola oralmente da tempi immemorabili e serve non solo per ragioni organizzative e contabili, ma anche per la propaganda di regime. Di norma ci si limita a descrivere i fatti più significativi che scandiscono la vita dei membri di una dinastia, soprattutto del fondatore, le origini di una città, i prodigi di un dio, ma anche formule magiche, preghiere, e altro ancora. I testi che si riferiscono ai fatti di cronaca e alla corrispondenza dei sovrani vengono ordinati per anno, mentre i testi elogiativi e le opere letterarie vengono archiviati a parte.
Ebbene, nella Bibbia gli ebrei raccontano in forma scritta come Jahve li abbia prescelti e come abbia promesso loro un regno eterno su questa terra. “La presenza dell’alleanza è caposaldo indiscusso dell’intera scrittura. Il Dio della Bibbia è colui che stipula un patto col suo popolo” (Stefani 2004: 95). Tutto il pensiero religioso ebraico, che è magistralmente espresso nella Bibbia, gira intorno a quest’idea: Dio presceglie un popolo e gli fa una promessa. La Bibbia può anche essere considerata in buona misura il prodotto delle riflessioni degli ebrei, che mirano a conciliare una realtà ampiamente deludente con la figura di un Dio, che è ritenuto pregiudizialmente onnipotente e perfetto, ma la cui logica non è del tutto chiara agli ebrei, i quali, alla fine, rimangono ostinatamente fedeli “a un Dio misterioso [… dalla logica] incomprensibile” (Chiavacci 1971: 45).
Ma chi ha scritto i testi che andranno a confluire nella Bibbia? Diciamo subito che l’esigenza di imparare a scrivere non è propria del nomade, ma dei signori del palazzo o del tempio e dei loro funzionari e, dunque, dobbiamo ritenere altamente improbabile che gli ebrei abbiano prodotto testi scritti prima dell’affermazione della monarchia e della costruzione del tempio. “Bisogna dire che i libri dell’Antico Testamento provengono in complesso dagli strati alti della società. Nel mondo classico, e presumibilmente anche nell'Antico Testamento, l’organizzazione e lo sviluppo delle tradizioni storiche era opera di una élite intellettuale” (Coggins 1998: 69).
I primi testi scritti debbono essere stati composti all’interno del tempio e del palazzo e, pertanto, non possono essere antecedenti al X secolo a.C.. Inizialmente si tratta di testi secondari e marginali: i primi importanti testi scritti risalgono verosimilmente all’VIII secolo. Altri testi si aggiungeranno un po’ alla volta nel corso dei secoli e in luoghi diversi, fino al II secolo a.C.. I testi più antichi saranno ripresi in tempi successivi e adattati alle circostanze del momento.
Gli studiosi sono riusciti a riconoscervi almeno quattro principali fonti. La più antica, cosiddetta jahvista (fonte J), inizia intorno al 950 e prosegue nel regno di Giuda: è essenzialmente una letteratura di corte ed è l’unica ad esprimere un’ideologia filomonarchica. La seconda, detta elohista (fonte E), è composta tra il IX e l’VIII secolo nel regno di Israele. Queste due fonti vengono unificate nel regno di Giuda ai tempi di Ezechia (716-687). La terza fonte è rappresentata dalla parte centrale del Deuteronomio (fonte D) e risale ai tempi di Giosia (642-609). La quarta fonte, detta sacerdotale (fonte P), risale in prevalenza al periodo esilico e successivo, ed è quella fisicamente più consistente. Ad essa appartiene la gran parte dei cinque libri del Pentateuco, chiamati Legge (in ebraico Torah). “Anche la composizione delle Lamentazioni e dei Salmi risale a quest’epoca. Tutto il lavoro fu eseguito dagli scribi e dai sacerdoti che erano i capi spirituali degli esiliati e delle loro comunità” (Abba 1971: 63-4). In pratica, la maggior parte della Bibbia è stata redatta nel periodo che va dall’esilio al II secolo a.C..
A queste fonti bisogna aggiungerne almeno una quinta, la cosiddetta fonte redazionale (R), che unifica i vari scritti in un’opera unitaria, in diversi momenti, forse a partire dai tempi di Esdra (450-30) con l’intento di rendere coerenti e unitari tanti testi scritti in precedenza da autori diversi e in luoghi diversi, ordinarli cronologicamente, collegarli logicamente, assicurarsi che non vi siano grossolane contraddizioni e provvedere a colmare eventuali lacune o vuoti di senso. I due più importanti rimaneggiamenti redazionali risalgono, rispettivamente, all’età persiana ed ellenistica.
Ora, i singoli Redattori non sono interessati a verificare che i fatti da loro raccontati siano veritieri e ben documentati. A loro piuttosto interessa svolgere un discorso religioso coerente con la fede nel Patto e con la situazione politica venutasi a determinare nei loro rispettivi tempi. Così, le storie di Abramo, di Mosè e dei Giudici “forniscono piuttosto un quadro di come l’Israele di età esilica e post-esilica immaginava il suo periodo formativo in terra di Canaan” (Liverani 2003:330). Questa è la ragione perché convivono nella Bibbia descrizioni di fatti realmente accaduti insieme a racconti di fantasia, recuperati dalla tradizione e dalla mitologia, sia locale che straniera, come quelli del paradiso terrestre, del diluvio universale, della torre di Babele, che sono quasi certamente tratti dalla cultura babilonese e persiana (Liverani 2003: 257ss).

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