lunedì 12 luglio 2010

V. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Se a cento persone scelte a caso chiedessimo chi erano gli aramei o gli edomiti o i sumeri o gli ittiti, pochi sarebbero in grado di darci una risposta positiva, ma quando chiediamo degli ebrei è ben difficile imbattersi in qualcuno che ne ignori l’esistenza. Pochi conoscono Sargon di Accad o Hammurabi, ma quasi tutti hanno sentito parlare di Abramo, di Mosè o di Salomone. Tutti i popoli del Vicino Oriente Antico hanno avuto una longevità variabile, ma, egizi a parte, mai superiore a qualche secolo, e nessuno di essi è sopravvissuto fino ad oggi. Gli ebrei sono gli unici a poter vantare quasi quattromila anni di storia, ed è una storia che ancora continua. Si tratta di un record, non solo invidiabile, ma anche sorprendente, soprattutto se si tiene conto delle loro modeste dimensioni demografiche e della loro marginalità nei confronti di altri popoli che oggi sono scomparsi.
Le principali ragioni psicologiche di tale successo, lo abbiamo già visto, sono sostanzialmente da individuare in due fattori prodotti, non per caso, dalla cultura ebraica: l’Alleanza e il Monoteismo (cf. cap. III.5.). Ebbene, la tesi sostenuta nelle pagine precedenti è che questi due fattori, insieme, costituiscono un’eccellente risposta alla volontà di potenza degli ebrei, ma anche una risposta singolare e specifica rispetto a tutti gli altri popoli coevi della Fertile Mezzaluna a noi noti.
Gli egizi si servirono della divinizzazione del faraone.
I sumeri contarono sia sulla potenza degli déi, sia sulle qualità degli uomini.
I paleobabilonesi credettero di poter rendere imperituro il proprio impero grazie all’introduzione di un diritto di provenienza divina.
Gli ittiti, al pari dei sumeri, fondarono la loro potenza in parte sul favore degli dèi, in parte sulle qualità militari e diplomatiche dei loro generali e re.
I fenici puntarono sul proprio spirito d’iniziativa e intraprendenza.
Gli eblaiti seppero coniugare sapientemente l’elemento divino con quello umano in un modo che ricorda quello dei sumeri e degli ittiti.
Gli assiri puntarono sulla forza delle armi, oltre che sull’ideologia enoteistica.
I neobabilonesi confidarono su enoteismo, superiorità culturale e aggregazione dei popoli.
Gli ebrei fondarono la propria volontà di potenza sulla Promessa e sul Monoteismo.

PROSPETTIVE PER IL FUTURO
"È giunto il momento che le energie creative delle parti di questo conflitto durato troppo a lungo si mettano al servizio di una pace duratura" (Ben-Ami 2007: 516). Questo, certamente, è l'augurio di molti. Ma quali potrebbero essere le condizioni di questa pace?
L’uomo, si sa, non è capace di prevedere il futuro, ma trova soddisfazione a prefigurarsi le possibili evenienze. Ebbene, come andrà a finire la questione israelo-palestinese? Sergio Della Pergola ipotizza sei possibili esiti (2007: 230-3):
1. Una delle parti elimina l’altra e rimane da sola.
2. Ciascuna delle due parti continua ad appellarsi a diritti storici, ma senza approdare a nulla.
3. Una delle parti tiene sottomessa l’altra con la forza, ma questa situazione non può durare a lungo.
4. Le due parti accettano di farsi governare da una terza forza, ma questa ipotesi è poco plausibile.
5. Una delle due parti, o entrambe, rinunciano spontaneamente alla propria identità culturale e creano i presupposti per la nascita di uno Stato mono-nazionale, ma anche questa ipotesi è ritenuta poco probabile.
6. Le due parti giungono ad un compromesso storico dando vita ad uno Stato federale bi-nazionale o a due distinti Stati sovrani.
Ebbene, tra le due opzioni accreditate di una qualche plausibilità, la 1 e la 6, Della Pergola propende per quest’ultima: “La presenza di due stati nazionali, uno israeliano, l’altro palestinese appare la soluzione inizialmente preferibile e di fatto l’unica realisticamente realizzabile. La parità fra uno stato israeliano-ebraico e uno stato palestinese-arabo, entrambi basati su chiare definizioni etniche, culturali e religiose è il necessario passaggio verso la creazione di un sistema politico regionale stabile” (2007: 235).
Ma anche quando questa ipotesi si dovesse realizzare, rimarrebbero sul tappeto, oltre alle incognite rappresentate nei precedenti tre paragrafi, anche l’incognita rappresentata dal fatto che i due popoli sono ormai indissolubilmente legati da comuni interessi a cooperare per la risoluzione di problematiche comuni (risorse del territorio, acqua, ambiente). “La storia ha unito i due popoli e i loro movimenti nazionali” (Kimmerling, Migdal 1994: 288). Ora, è difficile immaginare come possano cooperare due popoli profondamente divisi dalla lingua, dalla religione, dal livello di sviluppo economico e tecnologico e dagli interessi. Si potrebbe allora avanzare un’ulteriore prospettiva, quella della creazione di un unico Stato temporaneamente bi-nazionale, in cui la nazione più progredita si mette alla guida del paese, ma riconoscendo i propri errori e manifestando la volontà di volervi porre rimedio.
In particolare, gli ebrei dovrebbero:
1. Rinunciare alla propria identità religiosa (anche gli arabi dovrebbero fare altrettanto) e riconoscere il diritto alla libertà di culto.
2. Rinunciare quindi alla costituzione di uno Stato ebraico.
3. Riconoscere un equo indennizzo ai cittadini palestinesi per la durata di 25 anni a titolo di risarcimento dei danni inflitti loro a causa dell’occupazione del loro suolo.
4. Favorire, nel limite del possibile, il ritorno in patria dei profughi palestinesi.
5. Riconoscere un equo indennizzo ai profughi palestinesi che, per un motivo o per l’altro, non potessero ritornare nella loro patria, per la durata di 50 anni.
6. Porre uno stop o un limite drastico all’immigrazione ebraica.

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