lunedì 12 luglio 2010

III.3.7. Affermazione del monoteismo

A Babilonia gli ebrei hanno modo, dunque, di rivedere i fondamenti della propria fede e quella che ne nasce è una religione profondamente rinnovata. Il principale elemento di novità consiste nella proclamazione del monoteismo mediante la formula «Non avrai altro Dio» (Es. 20,3; cf. Is 45,14). Non è esagerato affermare che il monoteismo rappresenta la chiave di volta del pensiero religioso ebraico. Dobbiamo ora chiederci che cosa significhi per gli ebrei l’affermazione del monoteismo, ovvero quali siano le ragioni che inducono gli ebrei ad abbracciare la fede monoteistica, anziché respingerla, come avevano fatto gli egizi alla morte del faraone Ekhnaton e come avevano fatto gli stessi ebrei lungo tutto il periodo dei Giudici e della monarchia, ovvero da Mosè fino all’esilio babilonese.
Il monoteismo serve innanzitutto a ripristinare la dissonanza cognitiva che si è determinata dopo la caduta della monarchia e a fornire nuove ragioni a sostegno della propria fede e della propria volontà di potenza. Affermare l’unicità del dio vuol dire, infatti, sottrarre Dio da ogni possibile critica e perfino da ogni sospetto; ma vuol dire anche conferire assoluta certezza alla sua Promessa e tenere alto il morale di un popolo, che altrimenti corre il rischio di disgregarsi. Nello stesso tempo, la fede monoteistica rafforza lo spirito nazionalistico ebraico insieme alla coscienza di essere un popolo predestinato. Il messaggio che ne emerge è chiaro e forte: abbiate fede, nonostante tutto, e continuate a sognare il futuro regno di Jahve (Is 49,6), dove le sorti delle nazioni saranno capovolte: Giuda occuperà il primo posto e surclasserà le grandi potenze (Is 45,14). Il monoteismo mette anche la parola «fine» a tutte le roventi riflessioni sulla giustizia divina, che avevano impegnato le menti più acute e sensibili, da Geremia a Giobbe a Qoelet e a tanti altri. Da qui in avanti c’è posto solo per una fede assoluta e incondizionata e per l’autocritica.
Partendo dalla fede monoteistica, gli ebrei non possono far altro che addossare interamente su di sé la responsabilità di tutti gli eventi negativi passati, presenti e futuri. Siamo stati noi a sbagliare, ammettono gli ebrei, ed ecco le conseguenze dei nostri errori! Quali vantaggi abbiamo ottenuto rispetto ai tem¬pi della schiavitù in Egitto! Eravamo schiavi del faraone prima, siamo schiavi di altri padroni adesso, e dei nostri sogni di gloria nulla ci è rimasto! Ecco a quali bassezze ci ha costretto il nostro Dio a causa di noi stessi (Ger 1,19; Ez 20,13-41; Bar 1,15-20; Os 8,1; Am 3,2)! Alla sua somma bontà, noi abbiamo risposto con l’infedeltà e l’ingratitudine, abbiamo riposto la nostra fiducia negli uomini e abbiamo adorato altri dèi, ma Dio è incline al perdono, a condizione che siamo disposti a cambiare vita (Ger 4,1-2). Ci riconcilieremo, dunque, con lui e aspetteremo che si realizzi la sua Promessa e, intanto che aspettiamo, non possiamo fare altro che osservare i suoi comandamenti.
Insomma, la fede monoteistica maturata durante l’esilio rafforza la fede degli ebrei nella Promessa e li convince di essere una «stirpe santa» (Esd 9,2) e che devono isolarsi e distinguersi da tutti gli altri popoli, affinché Dio, quando verrà sulla terra ad insediare il suo trono in Gerusalemme, possa riconoscerli facilmente e prenderli con sé. Così, alla fine, il monoteismo esclusivo, non solo contrappone il popolo eletto alle altre nazioni, ma traccia anche “confini prima inesistenti tra Dio e gli altri dèi, tra verità e falsità, tra «noi e loro»” (Assmann 2009: 162).

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